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86 ATTO TERZO


mi manca, colla mia mano, sì colla mia mano medesima, vendicherò Lindoro, vendicherò me stessa, punirò un ingiusto, punirò un persecutore dell’onestà, del decoro, dell’innocenza. (parie)

SCENA XIll.

Don Flaminio solo.

Costei è una vipera, è una furia, è un demonio, e tal la rende un vero amore, una perfetta costanza. Che dirà mio padre di me e della mia condotta, dopo le proibizioni ch’egli mi ha fatte? Sono perduto, se io non impetro il di lui perdono. Ma convien meritarlo. Sì, andrò1 io stesso a gettarmi a’ suoi piedi. Gli prometterò il pentimento, il cambiamento di vita, l’abbandono totale d’ogni pensiero sopra Zelinda.... Ma sarò io in istato di mantenerlo? Sì, certo; lo manterrò. L’ho detto, son galantuomo, non vi penserò più. Ma un’altra cosa mi sta sul cuore. Il trattamento villano che ho usato alla cantatrice. Ella non lo merita, ed io ne sono mortificato; ma andrò a vederla, farò seco lei il mio dovere, e cercherò ogni strada per compensare colle attenzioni la pena che a quella buona giovane ho cagionata. Amore mi avea acciecato. La ragione m’illumina, e mi consiglia. (parte)

SCENA XIV.

Camera di don Roberto.

Don Roberto e don Federico.

Roberto. Orsù, signor don Federico, non voglio parere ostinato. Mia moglie non merita ch’io mi scordi sì presto le inquietudini che mi ha dato, ma son di buon cuore, e in grazia vostra son pronto a riceverla, e a perdonarle.

Federico. Vi lodo e vi ringrazio per conto mio. Mi permettete ch’io vada a prenderla, e che ve la conduca immediatamente?

  1. Ed. Zatta: anderò.