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66 | ATTO SECONDO |
Zelinda. Oh Dio! pazienza l’andarmene. Il cielo mi provvederà. Ma l’essere da voi scacciata con questa macchia al decoro mio, è un tal dolore per me, è una sì fiera pena, che non avrò coraggio di tollerarla, che mi farà soccombere, che mi darà miseramente la morte.
Lindoro. Una povera giovine, nata bene, perseguitata dalla fortuna, fugge dai persecutori della sua onestà. Si ricovera in casa vostra, in compagnia d’uno, è vero, ma di un uomo onorato e civile, che abbandona tutto per lei, che si riduce a servire unicamente per lei, e sarà il nostro amore colpevole a questo segno? e saremo tutti due vilipesi, scacciati, e sì barbaramente trattati? (patetico)
Barbara. Non so che dire. Voi mi movete tutti due a compassione, ma non posso niente in vostro avvantaggio. Il decoro mio non vuole che io vi soffra in mia casa. Vi compatisco, vi compiango, ma vi prego d’andarvene, e di scusare la delicatezza del modo mio di trattare.
Lindoro. Sì, avete ragione, e partirò meno afflitto, se voi non vi1 mostrate sdegnata.
Zelinda. La vostra compassione consola in parte il mio rammarico, la mia pena.
Lindoro. Addio, signora, vi domando perdono.
Zelinda. Scusatemi per carità. (piangendo)
Barbara. Andate, che il cielo vi consoli e vi benedica. (piangendo)
Zelinda. Povera sfortunata! (piangendo parte)
Lindoro. Quando mai si cangierà la mia sorte? (afflitto parte)
Barbara. Chi può trattenersi di piangere a fronte di due poveri afflitti? Chi è sventurato sente meglio le sventure degli altri2. Sì, essi sono degni di compassione. Chi merita d’essere rimproverato è don Flaminio. Egli si è abusato della mia buona fede. Mi ha trattato in una maniera indegna di lui, indegna di me. Ah, ciò sempre più mi convince della poca