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56 | ATTO SECONDO |
Barbara. (Viene, li sorprende nel loro giubilo, e si ferma un poco indietro osservando.)
Zelinda. Che piacer! (a Lindoro, non vedendo Barbara)
Lindoro. Che consolazione! (a Zelinda, non vedendo Barbara)
Barbara. Da che nasce il vostro piacer, la vostra consolazione? (avanzandosi con qualche sorpresa)
Zelinda. (Povera me!) (resta mortificata)
Lindoro. Signora... non crediate già... Vi dirò, mi domandava questa giovane se io era contento di voi. Io le diceva che sono poche ore che ho l’onor di servirvi, ma che sperava1 di aver trovato la miglior padrona del mondo.
Zelinda. Questa è una gran consolazione per me. (a Barbara)
Lindoro. Questo è il maggior piacere che può aver chi serve. (a Barbara)
Barbara. Va benissimo, e credo non sarete mal contenti di me, ma vi avverto che in casa mia si vive onestamente, e non permetterò certe confidenze...
Zelinda. Nè io le amo sicuramente.
Lindoro. Scusatemi, se per un trasporto di gioia...
Barbara. Basta così. Se sapete il vostro dovere, tanto meglio per voi. (Non voglio esser rigorosa, ma vedrò, se potrò fidarmi). (da sè) Quella giovane, come vi chiamate?
Zelinda. Zelinda, per obbedirvi.
Barbara. Ecco qui, Zelinda, la cuffia di cui vi ho parlato. Vedete come un picciolo cane l’ha lacerata. Ditemi se è possibile d’accomodarla. (le fa vedere la cuffia, cioè il pizzo)
Zelinda. Qui e qui si può accomodare, ma qui ve ne manca un pezzo.
Barbara. Aspettate. Credo di averne, ma non so se sarà bastante. Lo cercherò, e ve lo porterò a far vedere. (parte)
SCENA XV.
Lindoro, Zelinda, poi Barbara.
Zelinda. Siate più cauto, quasi più ci siamo scoperti.
Lindoro. E’ vero, quest’esempio mi servirà di regola in avvenire.
- ↑ Ed. Zatta: spero.