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42 | ATTO SECONDO |
civile, allevato fra i comodi ed i piaceri, scacciato villanamente da un luogo, ed obbligato per vivere a servire un altro. E’ buon per me che abbia trovato sì presto da collocarmi, per non essere costretto a vendere quel poco che ho in dosso per sostenermi. La condizione che ora sono obbligato di prendere, è più umiliante dell’altra, ma pazienza: la soffrirei volentieri purchè avessi la compagnia di Zelinda, purchè mi fosse accordato il piacere di vederla. Questa è la mia pena, questo è il mio martoro, questa è la mia unica disperazione.
(resta pensoso)
SCENA II.
Zelinda, un Facchino che porta un baule, e detto.
Zelinda. No, amico, non so dove andare precisamente. Mi fido in voi. Conducetemi in qualche onesto albergo. (al facchino)
Facchino. Se volete, vi condurrò in casa mia.
Zelinda. Sì, mi farete piacere. Sarete giustamente ricompensato.
Lindoro. Qual voce? (si volta)
Zelinda. Oh cieli! (scoprendo Lindoro)
Lindoro. La mia Zelinda?
Zelinda. Il mio bene? (corrono e s’abbracciano)
Lindoro. Come qui? Dove andate?
Zelinda. Vi racconterò...
Facchino. Signora, per quel ch’io vedo, voi non avete più bisogno di me.
Zelinda. Aspettate, aspettate. (al facchino) Sappiate, Lindoro mio....
Facchino. Ma il baule pesa.
Lindoro. Mettetelo giù, galantuomo.
Facchino. Dove?
Lindoro. Là, su quel muricciuolo di dietro quella casa.
Zelinda. Ed aspettate un momento che vi chiamerò.
Facchino. Signora, vi avverto che in casa mia non vi è luogo.
Zelinda. Me l’avete pure esibito.
Facchino. Sì, vi sarebbe luogo per uno, ma non vi è luogo per due.