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466 | ATTO TERZO |
Raimondo. (Mo dov’el el sior Gasper?) (piano, rasserenandosi)
Tonina. (Quella maschera là infondi). (piano a Raimondo)
Raimondo. (N’occor alter, ai ò capì),. (piano a Tonina, e va bel bello, a poco a poco, per non dar nell'occhio, accostandosi a Gasparo)
Tonina. Via, con licenza dei patroni della festa, che la fazza un menuetto, siora Cattina.
Cattina. (Quarda Raimondo pateticamente.)
Tonina. Se contentelo, sior Raimondo?
Raimondo. An gh’è miga sta gran premura. (a Tonina)
Cecilia. Oh sior sì, sior sì; mettemose in moto un pochetto. Con licenza de chi comanda. Sonadori, sonè.
(Li suonatori suonano un minuetto. Cattina balla con Bortolo. Intanto Raimondo si accosta a Gasparo; siedono vicini, si parlano piano, e ridono. Tonina e Cecilia siedono da un’altra parte, parlano tra di loro, e ridono. Finito il minuetto. Cattina va a sedere vicina a Bortolo. Tutti applaudiscono al minuetto. Gasparo batte le mani, e ride.)
SCENA XI.
Riosa e detti.
Riosa. Sior patron... (forte verso Gasparo, ma da lontano)
Tonina. Gossa voleu dal patron? Qua nol ghe xe el patron. (a Riosa)
Riosa. Ah sì, nol ghe xe; no m’arecordava. (ironica)
Tonina. Cossa volevi?
Riosa. Ghe xe do maschere alla porta che vorave intrar.
Tonina. Ghi xele?
Riosa. Mi no so, la veda, che mi no gh’ho averto. I m’ha dito che le xe do maschere omo e donna.
Tonina. Chi domandeli!
Riosa. El patron.
Tonina. Chi mai porli esser?
Raimondo. (Domanda piano a Gasparo, ed egli fa cenno che non sa niente.)
Lissandro. Vorla che vaga a veder mi? (a Tonina)