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CHI LA FA L'ASPETTA | 457 |
Riosa. In cameron; sul tavolin sotto el specchio.
Gasparo. Zitto. (a Riosa, e ridendo parte col lume in mano e tutti gli vanno dietro.)
SCENA V.
Riosa, poi Lissandro in maschera.
Riosa. I sonadori! Bisogna ch’el voggia far un festin. Ghe scometto mi ch’el vol far un’improvvisata a so muggier. Siestu benedetto! Va là che ti xe una pua.a Ti xe una pasta de marzapan. Lo gradirala gnanca sta rustegona? (prende il lume in mano) Oh l’ha lassà la porta averta: presto presto, che la vaga a serrar. Nissun me leverà dalla testa che in sta casa no se ghe senta. (tiene in mano il candeliere, e va per chiudere la porta. Nell’atto ch’ella vuol chiudere, si presenta Lissandro in maschera, col volto sul viso. Riosa si spaventa, le casca il candeliere di mano, la candela si smorza e grida) Agiuto.
Lissandro. Non abbiè paura, son mi. (si avanza)
Riosa. Agiuto, agiuto. (torna a gridare, si salva all’oscuro, e corre via)
Lissandro. Se trovasse la porta... (vorrebbe andar via)
SCENA VI.
Tonina con lume in mano, e Lissandro.
Tonina. Coss’è sta, cossa xe sti zighi?1 Siora maschera, cossa voleu? (fra il timore e lo sdegno)
Lissandro. Son mi, siora Tonina. (si smaschera confuso)
Tonina. Ah vu sè, sior Lissandro? (Ho ben gusto ch’el sia elo). (da sè, ridendo) Cossa gh’aveu fatto a Riosa?
Lissandro. Mi no gh’ho fatto gnente. La porta giera averta, voleva chiamar, la m’ha visto in maschera, e la s’ha messo in sto boccon2 de paura.
- ↑ Buono come un bambino.