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356 ATTO QUINTO


lui, ma non posso. Non vedo l’ora ch’ei torni a casa per abbracciarlo. Sì, per gridargli e per abbracciarlo, (si batte alla porta) Battono. Vediamo chi è. (apre)

SCENA II.

Pandolfo, Costanza e la suddetta.

Pandolfo. Buon giorno, signora Placida.

Placida. Serva umilissima, signor Pandolfo, serva sua, signora Costanza.

Costanza. Sì, sì, sono in collera con voi.

Placida. Perchè, signora, che cosa le ho fatto?

Pandolfo. Ha dispiaciuto a mia figlia ed a me, che oggi non abbiate potuto passar la giornata con noi.

Placida. In verità, vi giuro, non ne sapeva niente. Se sapeste quanto ho gridato con mio marito.

Costanza. Tre volte vi abbiamo mandati a chiamare.

Placida. Assicuratevi sull’onor mio che non ho saputo niente. Figurarsi, era da mia madre, sarei corsa a casa immediatamente.

Pandolfo. Se ci hanno detto che eravate da vostro compare Bernardo per affari del vostro negozio.

Placida. Mio marito era dal compare, o almeno mi ha dato ad intendere che vi è stato. Io era da mia madre, ve l’assicuro.

Costanza. Il signor Gottardo gentilissimo si diletta dunque di dire delle bugie.

Placida. Qualche volta.

Pandolfo. Non posso dirvi quanto mi è dispiaciuto la privazione della vostra compagnia. Sapete quanto vi amo tutti due, marito e moglie egualmente. Si tratta un giorno di pranzare insieme, vengo a posta, e non posso avere questa consolazione.

Placida. In verità, ne sono mortiflicatissima, e domani doveva venir da voi per farvi le scuse di mio marito.

Pandolfo. Basta, non c’è bisogno di altre scuse, poichè vostro marito ha voluto compensarci, e ceneremo insieme questa sera.

Placida. Qui da noi? (con allegria)