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352 | ATTO QUARTO |
Gottardo. Con una parrucca... (secondo quella di Agapito)
Oste. Per verità, non me ne ricordo. Gottardo. (Io sospetto sopra quel galeotto di Agapito, ma non sono ancora sicuro). (da sè)
Oste. Mi comanda altro?
Gottardo. La grazia sua.
Oste. Oh signore! sono a’ suoi comandi. E quando mi onorerà de’ trenta paoli?
Gottardo. Li avrete, ve li darò. Avete paura che non ve li dia?
Oste. Oh mi maraviglio. Son sicurissimo. Un uomo come lei! la prego prevalersi della mia servitù. Nelle occorrenze la supplico non farmi torto. La servirò sempre con distinzione... Me li darà questa settimana i trenta paoli?
Gottardo. Ma voi siete un gran seccatore.
Oste. Servitor umilissimo. (parte)
SCENA VI.
Gottardo solo.
Ci giocherei dieci zecchini, che la bricconeria me l’ha fatta quel birbante di Agapito; ma come diavolo avrà potuto entrare in casa? Come? È stato qui. È capace di aver cambiata la chiave. Oh se potessi assicurarmene, vorrei fargliela pagar salata. Se potessi almeno sapere chi erano le cinque persone che hanno mangiato qui. L’oste non sa niente, ed è difficile indovinarlo.
SCENA VII.
Il Garzone del caffè, ed il suddetto.
Garzone. Servitor umilissimo, signor Gottardo.
Gottardo. Cos’è? C’è qualche altra novità? Venite anche voi per danari?
Garzone. Sì signore, vengo per i cinque caffè, che ho portati qui quest’oggi.