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346 | ATTO QUARTO |
Placida. Sì, povero voi.
Gottardo. In verità, voi mi fate ridere.
Placida. Ridete, che avete buon ridere; ma un giorno forse... (si sente battere alla porta)
Gottardo. Battono. Guardate chi è.
Placida. Riderò anch’io un giorno, ve l’assicuro.
Gottardo. Placida, guardate chi è.
Placida. Son buona buona, ma poi...
Gottardo. Eh finitela una volta. Andate a guardare chi è. (con sdegno)
Placida. Ih! che diavolo d’uomo! (parte per andare ad aprire)
SCENA II.
Gottardo, poi Placida, e l’Oste.
Gottardo. Colle buone non si fa niente. Bisogna alzar la voce per forza.
Oste. Servitor umilissimo, mio padrone.
Gottardo. La riverisco divotamente.
Oste. Scusi, è ella il signor Gottardo?
Gottardo. Per servirla.
Oste. Mi consolo infinitamente d’aver l’onor di conoscerla e di riverirla.
Gottardo. Chi è in grazia vossignoria?
Oste. L’oste della Fortuna per obbedirla.
Placida. (Passeggia ed ascolta.)
Gottardo. E in che cosa vi posso servire?
Oste. Prima di tutto la prego dirmi s’ella è restata di me contenta.
Gottardo. Di che, signore?
Oste. Del pranzo di questa mattina.
Gottardo. Io?
Placida. Come! Siete voi stato all’osteria? (a Gottardo) Il signor Gottardo è venuto alla vostra osteria? (all’Oste)
Oste. Non signora; io parlo del pranzo, che ho avuto l’onore di mandargli a casa questa mattina.