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340 | ATTO TERZO |
SCENA IV.
Agapito e detti.
Agapito. Signori, eccomi di ritorno. (tutti si alzano)
Pandolfo. (Si risveglia) E bene, che nova ci recate? Vengono? Non vengono? Cosa fanno?
Agapito. Il signor Gottardo e la signora Placida riveriscono umilmente lor signori; rendono loro infinite grazie dell’onore che hanno fatto alla loro casa. Domandano mille perdoni, se non vengono a far quest’atto di dover in persona; la ragione si è, perchè non hanno ancor terminato il loro affare importante, e vi vorranno due ore ancora a finirlo.
Pandolfo. Quand’è così dunque, possiamo andarsene. Mi dispiace dell’inconveniente; mi dispiace che abbiano fatto la spesa, che ci abbiano ben così trattati1, e che non siano stati con noi. Salutateli caramente, ringraziateli intanto per parte mia, e quando li vedrò, farò le mie parti. Costanza, andiamo. Servitor umilissimo di lor signori.
Roberto. Volete di già andarvene? Volete partir sì presto? Il signor Leandro ha delle altre ottave.
Leandro. Sì, se aveste bisogno di dormire anche un poco.
Pandolfo. Scusatemi, sono avvezzo a dormire quando ho mangiato. Non crediate che sia per disprezzo del vostro bellissimo componimento. I primi versi mi sono piaciuti infinitamente.
Leandro. Un’altra volta ve li leggerò quando avrete dormito.
Pandolfo. Oh sì, la mattina pel fresco; venite a prendere la cioccolata da me.
Roberto. Oh sì, anderemo insieme. (a Leandro) Verrò ancor io, se vi contentate. (a Landolfo)
Pandolfo. Mi farete onore e piacere. Andiamo. (a Costanza, incamminandosi)
- ↑ Così nel testo.