Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/344

338 ATTO TERZO


al signor Pandolfo. (Siedono, Pandolfo nella prima sedia. Leandro nella seconda. Costanza nella terza, Roberto nella quarta. Intanto i Servitori seguono sempre a sparecchiare.)

Leandro. Vi dirò alcune ottave. (a Pandolfo, tirando fuori una carta)

Pandolfo. Le sentirò con piacere.

Leandro. L’argomento è una figlia rispettosa, che parla al suo amoroso genitore.

Pandolfo. L’argomento è bellissimo. Costanza, ascoltate, che è a proposito ancora per voi.

Costanza. Sono qui attentissima.

Roberto. (Vorrei potervi dir due parole). (prono a Costanza)

Costanza. (Anch’io ho delle cose da dirvi). (piano a Roberto)

Leandro. Ottave.

     " Padre, a voi deggio de’ miei giorni il dono;
     " Deh un sì bel don di conservar vi piaccia.
     " Da un novello martir trafitta or sono,
     " E da uno strale che il mio fin minaccia.
     " Pietà, buon genitor, pietà, perdono.
     " Il rispetto, il dover, non vuol ch’io taccia.
     " La vita che mi deste è mio tormento,
     " Se un’altra vita ricusarmi io sento.

Pandolfo. (Ascolta sbadigliando, e si vede che il sonno lo prende.)

Costanza. Bravo. (forte a Leandro)

Roberto. Bravissimo. (forte a Leandro)

Pandolfo. Sì, bravo. (scuotendosi dal sonno) Non ho bene capito il senso degli ultimi versi.

Leandro. La figlia dice che sarebbe per lei un tormento la vita che le ha dato il padre, s’egli non le volesse dar la seconda vita; e potete capire di che si tratta.

Pandolfo. Sì, va bene, ma non mi pare che sia un componimento a proposito per far sentire ad una figliuola.

Leandro. Scusatemi; non vi è niente di male. Sentite quest’altra ottava.

Pandolfo. Non vi è bisogno che voi ascoltiate. (a Costanza)

Costanza. Oh io non ho niente di curiosità.