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336 | ATTO TERZO |
facendoci sperare ad ogni momento che Gottardo e Placida sarebbero venuti a casa; eccoci di già al desere, il pranzo è finito, e non si vedono ancora a venire. Io non so cosa sia; vi dico la verità, io sono inquietissimo.
Agapito. Ma caro signor Pandolfo, non so che dire, questa non è colpa mia. Vi tornerò a dire quel che vi ho detto. Avanti di metterci a tavola, sono andato a trovare per la seconda volta Gottardo e Placida, che sono, come vi ho detto, in casa del signor Bernardo loro compare. Sono dietro a stabilire il contratto di una partita di lino, sono dietro a concludere una società di un’impresa non so di che. Mi hanno incaricato di pregare la compagnia di mettersi a tavola, mi hanno assicurato che a momenti sarebbero venuti. Se non l’hanno fatto, non è colpa mia; sarà colpa dei loro interessi, dei loro affari.
Pandolfo. Ma io non voglio assolutamente andar via senza vederli, senza ringraziarli. Fatemi il piacere di mandai qualcheduno...
Agapito. Oh ecco il caffè. Entrate, venite avanti. (alla scena)
SCENA II.
Garzone del caffè con cinque tazze e cogoma. Tutti si alzano per bevere il caffè di qua dalla tavola. Chi vuole, può prendere una sedia, e sedere. Il Garzone dà a tutti la sua chicchera; versa il caffè, prendono lo zucchero. Tutti bevono il caffè.
Pandolfo. (Bevendo il caffè) Ma io vi torno a dire, signor Agapito, che sono inquietissimo per conto di Gottardo e di Placida. Se non volete mandar nessuno, ci anderò io. Mi avete detto che sono...
Agapito. Aspetti un momento, che finisca di prendere il mio caffè, e anderò io un’altra volta a vedere cos’è di loro, e subito sarò qui di ritorno colla risposta. (bevendo)
Roberto. (Questo è il giorno che decide della mia vera felicità). (piano a Costanza)