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330 ATTO SECONDO

Agapito. Oh adesso è generosissimo. Si è messo un poco a trattare; vede bene, è diventato mercante.

Pandolfo. Non vorrei che perdesse il giudizio, e diventasse troppo liberale.

Agapito. Oh non vi è pericolo; ve l’assicuro.

Pandolfo. Basta; per questa volta verrò.

Agapito. E la signora Costanza?

Pandolfo. Verrà ancor ella. Vi dirò, io sono venuto avanti per saper con bel modo, se Gottardo e Placida restavano a pranzo in casa, per esser sicuro di non burlarmi; poi sarei andato ad aspettarvi in Piazza, come eravamo d’accordo, e saremmo andati a prender mia figlia per condurla qui.

Agapito. Mi dispiace che io ora non mi posso partire.

Pandolfo. No, no, restate. All’ora congrua verrò io con Costanza. Ma dite a Gottardo che non faccia spese superflue.

Agapito. Sì signore.

Pandolfo. Ricordategli l’economia.

Agapito. Oh lasciate fare a me.

Pandolfo. A rivederci, ciarlone.

Agapito. Avete ragione. Ho parlato, ch’io non doveva.

Pandolfo. M’immagino che sarete voi pure degli invitati.

Agapito. Sicuro, lo quando ho sentito così, non ci voleva stare, ma Gottardo mi ha tanto pregato.

Pandolfo. Sì, è un uomo di buonissimo core.

Agapito. Oh! è una gioia.

Pandolfo. Addio. (parte)

Agapito. Servitor suo.

SCENA V.

Agapito, poi Roberto.

Agapito. Eh che gioia1 ch’è Gottardo! e che buon cuore ch’egli ha!

  1. Ed. Zatta: E che gioja ecc.