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LA BURLA RETROCESSA 319

Agapito. E bene, andate. Resterà vostra moglie.

Gottardo. Mia moglie è andata a desinar da sua madre.

Agapito. E voi mi volete dare ad intendere...

Gottardo. Possa morire, se vi dico bugia. Ecco qui in segno della verità, ecco qui la chiave della porta che Placida mi ha lasciato, e questa sera devo andarla a prendere da sua madre.

Agapito. Cospetto di bacco! mi dispiace di un’altra cosa.

Gottardo. E di che?

Agapito. Che la signora Costanza, figlia del signor Pandolfo, sentendo che suo padre voleva venire a pranzo da voi, ha detto vogli venir anch’io a desinar con Placida, e suo padre le ha detto di sì.

Gottardo. Andateli ad avvertire; dite loro che oggi non posso, che ciò sarà per un’altra volta.

Agapito. Fate una cosa, venite con me; ma non dite loro ch’io vi abbia avvertito. Fate cadere il discorso a proposito...

Gottardo. Ora non posso venire. Ho da fare; aspetto gente.

Agapito. In verità, signor Gottardo, mi dispiace a dirvelo, ma l’amicizia mi fa parlare. Fate torto a voi stesso; non sapete vivere, e non fate conto dei buoni amici.

Gottardo. Ma vi preme molto, signor Agapito, ch’io mi faccia onore. Dite la verità, oggi voi facevate gran conto della mia picciola tavola.

Agapito. Mi pareva impossibile, che non mi diceste un’impertinenza. Son io qualche scrocco? Mi manca il modo a casa mia di mangiare? Grazie al cielo son conosciuto, e dieci scudi in tasca non mi mancano mai.

Gottardo. E bene, se siete ricco, tanto meglio per voi. Io son pover’uomo, e non posso far tavola per nessuno. Circa il signor Pandolfo, lo manderò ad avvertire.

Agapito. No, no, non v’incommodate, l’avvertirò io.

Gottardo. Bene, vi sarò obbligato.

Agapito. Ma è possibile, caro signor Gottardo...

Gottardo. Andate se volete trovarlo, andate subito, avanti ch’egli esca di casa.