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318 ATTO PRIMO

Agapito. Eppure io so di certo, che oggi il signor Pandolfo ha destinato di venir a pranzo da voi.

Gottardo. Da me? Senza dirmelo? Senza farmi avvisare?

Agapito. Anzi quest’è segno che vi vuol bene, che fa stima di voi, e vuol venire a farvi un’improvvisata.

Gottardo. Scusatemi, amico, io non credo niente.

Agapito. È cos’, ve lo giuro, in parola da galantuomo. Sono stato questa mattina da lui, perchè sapete che in tutti i suoi negozi egli si serve di me. Siamo venuti in discorso di voi. E un pezzo, mi disse, che non vedo Gottardo, passando di là voglio un poco vedere cos’è di lui. Verrò anch’io, dico, ho anch’io volontà di vederlo. Sì, dice, anderemo insieme. Facciamogli, dico, facciamogli un’improvvisata, andiamo a pranzo da lui. Sì, dice, andiamo, e si mise a ridere, come sapete ch’egli suol fare, quando ride di core. Ma zitto, dice, zitto, ch’egli non sappia niente, andiamo lì all’improvviso, e vediamo cosa sa dire, e si mette a ridere. Io gli ho dato parola di trovarlo in piazza, e di venir con lui, e di non dirvi niente; ma per l’amicizia che ho per voi, ho creduto bene di venirvi ad avvertire, acciò... mi capite; mi dispiacerebbe di vedervi imbarazzato...

Gottardo. Siete stato voi dunque, che gli ha dato questo suggerimento?

Agapito. Sì; vi dispiace di aver da voi il signor Pandolfo?

Gottardo. Io stimo infinitamente il signor Pandolfo: questo sarebbe per me un onore, ma mi dispiace che oggi sono obbligato di andar a pranzo fuori di casa.

Agapito. Oh via, ho capito. Voi vi siete dato sempre più all’avarizia, e voi volete disgustar tutto il mondo.

Gottardo. Vi giuro, in fede di galantuomo, che oggi ho dato parola a mio compare Bernardo.

Agapito. Potete fargli dire che oggi non potete, che andrete un’altra volta; il signor Pandolfo merita bene di essere preferito al signor Bernardo.

Gottardo. Oh no, quando ho dato una parola, non manco.