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LA BURLA RETROCESSA 317


poco di compagnia. Lasciate fare a me. Verrò a trovarvi; verrò con qualcheduno de’ nostri comuni amici. Verremo qualche volta a pranzo da voi. Ci divertiremo.

Gottardo. No, no, non vi incommodate. Se vorrò divertirmi, saprò io ritrovar il modo.

Agapito. Che? Ricusate voi di dar qualche volta da pranzo ai vostri amici? Nemmeno un pranzo nei primi giorni delle vostre nozze? Scusatemi, un uomo come voi...

Gottardo. Un uomo come me? E chi sono io? Qualche gran signore?

Agapito. Siete un galantuomo, siete ora un buon negoziante, avete una bottega di lino, che non c’è la compagna in paese, e se volete fare di bene in meglio, conviene veder gli amici, coltivarli, trattarli.

Gottardo. Trattarli! Cosa intendete voi per trattarli?

Agapito. Qualche finezza, qualche buona grazia di tempo in tempo, qualche pranzo, qualche cenetta.

Gottardo. E voi mi onorereste di essere della partita. (ironicamente)

Agapito. Sì, certo, col maggior piacere del mondo. Vedete bene, io nell’ordine de’ sensali non credo di essere degl’inferiori. Avrò delle buone occasioni per voi: a pranzo, a cena, si parla con comodo, con libertà.

Gottardo. Ho capito. Voi dite bene; vi ringrazio del buon amore che avete per me, vi ringrazio dei buoni suggerimenti; ma io non ho ancora il modo di far trattamenti in casa, non ho il comodo, non ho il bisogno, non posso farlo, e non ho intenzione di farlo.

Agapito. (Oh l’avaraccio del diavolo! è sempre stato così). (da sè)

Gottardo. (Se principiassi eh? Mi mangierebbero il lino, la stoppa, ed i pettini). (da sè)

Agapito. Ma, per esempio, se volesse venire a pranzo da voi il signor Pandolfo, ricusereste riceverlo?

Gottardo. Il signor Pandolfo è padrone di tutto, ma sa ch’io sono un povero principiante, e non lascierebbe la sua tavola per venire alla mia.