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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 253

Flaminio. Ah sì, vi ringrazio di cuore... (Lindoro s’avanza un poco)

Zelinda. (Mostra d’esser sconcertata alla vista di Lindoro) Ah siete qui? siete ritornato?

Lindoro. Posso venire avanti?

Flaminio. Avanzatevi pure. Non v’è stato segreto fra noi, e non ci può essere. Quello di cui si tratta, l’avete a sapere anche voi.

Lindoro. Signore, io non son curioso di sapere, e non domando che mi si dica. Conosco mia moglie, so il carattere vostro onesto e civile, e tanto mi basta. So perchè m’avete parlato in tal modo, perchè un tempo io era geloso, perchè una volta, se avessi veduto mia moglie in colloquio con qualcheduno, sarei stato sì bestia, ch’avrei subito sospettato; ma, grazie al cielo, sono guarito, non ho più di tai pregiudizi, e lascio mia moglie in pienissima libertà.

Flaminio. Fate bene, vi lodo, e me ne consolo con voi.

Zelinda. (Tutto questo vuol dire che non m’ama più, che non mi stima, che non si cura di me). (da sè)

Lindoro. (Oh sei sapesse la maledetta curiosità che mi rode!) (da sè)

Flaminio. Però è necessario che voi sappiate l’affare di cui parlava a Zelinda.

Lindoro. Se è necessario, l’ascolterò, se non è necessario, ne farò di meno.

Zelinda. (Maledettissima indifferenza!) (da sè)

Flaminio. Bisogna che voi e vostra moglie vi prendiate l’incomodo d’andar oggi a ventun’ora alla casa del mio avvocato, per ascoltare un progetto che può formare la quiete comune, e la mia particolare felicità.

Lindoro. Signore, in materia dipendente dal testamento del signor don Roberto, come tutto fu fatto a contemplazione di Zelinda, io mi rimetto in lei; quello ch’ella fa, è ben fatto, ed ella vi può andare senza di me.

Zelinda. E con chi volete ch’io vada? (a Lindoro con sdegno)

Lindoro. Con chi? sola, se volete. (dissimulando)

Zelinda. Sola? (come sopra)