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252 ATTO SECONDO

Zelinda. No, non può essere, no; il cuore mi dice di no. (forte per distrazione)

Flaminio. No? avete coraggio di dirmi in faccia di no? Capisco ora l’origine della vostra freddezza; la speranza ch’avete d’ereditare di più, s’io sposo una donna contro la volontà di mio padre, vi sollecita, e vi lusinga. Non vi credeva capace di tanta ingratitudine, e di tanta viltà. In ricompensa dei benefizii ch’avete ricevuti nella mia casa, amate di vedermi precipitato? Sì, sarete contenta. Sposerò chi mi pare, e voi sazierete la vostra avidità.

Zelinda. A chi tutto questo, signore?

Flaminio. A voi ch’avete cuor di negarmi quello che per favor vi domando.

Zelinda. Io?

Flaminio. Sì, voi. Voi m’avete detto di no.

Zelinda. Ah signore, vi domando perdono. Scusate, per carità, la mia distrazione, e non mi crediate capace ne di viltà, nè d’ingratitudine. Ho tante obbligazioni con voi, sono così interessata pel bene vostro, e pel bene di questa casa, che sono pronta a rinunziare non solo a qualunque speranza, ma al bene lasciatomi dal mio amoroso padrone. Disponete di me, signore, vi scongiuro, non risparmiate ne la mia volontà, nè i miei beni, nè il mio sangue medesimo, se vi potesse giovare.

SCENA XIV.

Lindoro e detti.

Lindoro. (Entra, ma resta indietro per non mostrare curiosità.)

Flaminio. Quello che vi domando, Zelinda mia...

Zelinda. (Ecco mio marito). (lo vede, e finge di non vederlo, e s’accosta di più a don Flaminio) Non dite altro, signore; vi replico, disponete di me. Farò tutto per voi. Sapete quanto interesse ho per voi, quanto mi preme la vostra quiete, la vostra soddisfazione, quanto vi potete compromettere della mia più tenera, della mia più grata riconoscenza. (con affettazione per dar gelosia a Lindoro)