Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
248 | ATTO SECONDO |
Avvocato. A vent’una ora, se si contentano.
Eleonora. A vent’una ora sarò da voi. (all’Avvocato) Andiamo. (a don Filiberto, incamminandosi per partire)
Filiberto. A vent’una ora non mancheremo. (all’Avvocato, e parte con donna Eleonora)
Pandolfo. E a vent’una ora ci sarò ancor io. (all’Avvocato) (Costui mi leva dalla saccoccia almeno almeno dugento scudi). (da sè, e parte)
SCENA XII.
Don Flaminio, l’Avvocato e Fabrizio.
Fabrizio. (Ci vuol esser anch’egli, vuol parlar, vuol agire; e in ogni modo non la vuol perder marcia sicuro). (da sè)
Avvocato. Amico, fate che da me si trovino all’ora stessa Zelinda e Lindoro: queste sono le persone che premono, e senza d’esse non si può far niente.
Flaminio. Spero che ci verranno senz’alcuna difficoltà. Fabrizio, avvisate Zelinda che venga qui.
Fabrizio. Sì signore. (Tutto sta ch’ella voglia sortire dalla sua camera). (da sè, e parte)
Flaminio. Lindoro non è in casa, ma non può tardar a venire, e so quanto mi posso comprometter di lui. Prego il cielo che il vostro progetto abbia luogo. Credetemi, amico, mi dispiacerebbe assai perdere una gran parte della mia eredità, ma sarei alla disperazione se dovessi abbandonare quella ch’io amo, e che merita l’amor mio.
Avvocato. Ma siete voi sicuro che questa giovane sia della nascita ch’ella vanta di essere, e che sia di costumi onesti ed illibati?
Flaminio. Sono sicurissimo di tutto ciò; anzi ho veduto io stesso una lettera di suo padre.
Avvocato. Non potrebb’essere una lettera finta, immaginata, studiata?
Flaminio. No, non è possibile, non è capace. Vi dirò cos’è