Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/253


LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 247

tino1 a cosa tende il mio progetto. A dar a tutti quel che vogliono, e più di quello che vogliono. A far sussistere il testamento senza osservarlo, ad esser tutti amici e contenti, a risparmiare una lite, e ad accomodarsi senza spendere un soldo.

Filiberto. Sentite? (a donna Eleonora)

Eleonora. Se la cosa fosse così... (a Pandolfo)

Pandolfo. Le parole sono bellissime, ma bisogna venire al fatto. (all’Avvocato)

Flaminio. Il signor avvocato parla con fondamento, e tutto quello che ha detto, lo dimostra ad evidenza.

Filiberto. Sentiamo dunque...

Eleonora. Sentiamo come si possa...

Pandolfo. Lasciate parlare a me. (a donna Eleonora e a don Filiberto) Il signor avvocato ha dell’abilità, ha del talento, ma mi pare che questa sua proposizione abbia del metafisico.

Avvocato. Non signore; la cosa è fisica, reale, e dimostrativa.

Filiberto. Mettetela in chiaro per carità.

Pandolfo. Lasciate parlare a me. (a don Filiberto)

Avvocato. Il progetto non è ancor ridotto a maturità. Favoriscano oggi dopo pranzo venir da me, nel mio studio. Vi saranno tutte le parti. Saranno tutti insieme instruiti, e sentiranno se vi possono essere difficoltà.

Pandolfo. Ci verrò io, ci verrò io. Lor signori non se n’intendono. (a donna Eleonora e a don Filiberto) Ci verrò io, signor avvocato, ci verrò io.

Avvocato. Va bene che vi sia il signor procuratore, saggio, dotto ed esperto, ma io desidero che ci sieno ancora le parti, e senza di esse non si concluderà.

Eleonora. Io ci verrò, signore. (all’Avvocato) E ci verrete anche voi. (a don Filiberto)

Pandolfo. Sì, e lascieranno parlare a me. (a donna Eleonora e a don Filiberto)

Eleonora. A che ora volete voi che ci siamo?

  1. Così il testo.