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234 ATTO SECONDO

Zelinda. (Prende la carta senza parlare, e la mette sul tavolino senza guardarla.)

Fabrizio. Ho veduto or ora il padrone, ed è assai contento per un progetto dell’avvocato, che può render tutti contenti. (Zelinda lavora e non dice niente) Ho sentito con mia consolazione, che in questo progetto voi pure, e vostro marito, siete compresi, e con vostro grand’avvantaggio.

Zelinda. (Sospira e s’asciuga gli occhi.)

Fabrizio. Cosa è, che cos’avete, Zelinda? Siete trista, melanconica, par che piangiate.

Zelinda. Niente. Vi prego di lasciarmi quieta. (lavora)

Fabrizio. Ma che è mai questa novità? questa stravaganza? Vi veggio afflitta, piangente, in tempo ch’avete giusto motivo d’essere consolata, e di chiamarvi felice?

Zelinda. Ah per me non v’è più consolazione, non v’è più al mondo felicità. (sospira e lavora)

Fabrizio. Ma perchè? cos’è stato? cos’è accaduto?

Zelinda. Niente, lasciatemi piangere in libertà.

Fabrizio. Vi prego, vi supplico, confidatemi la cagione di questa vostra tristezza.

Zelinda. No, dispensatemi; è inutile ch’io vi parli.

Fabrizio. Vi prego per la nostra buona amicizia. Ricordatevi ch’io non v’ho mai nascosto niente, che in ogni occasione ho confidato in voi, mi son fidato di voi, non credo di meritar questo torto. Non mi pare ch’abbiate motivo di diffidare di me.

Zelinda. Bene: se voi promettete, se mi date parola d’onore di non dir niente a nessuno, vi confiderò anch’io quel segreto che m’agita, e mi tormenta.

Fabrizio. Son galantuomo. Vi prometto di non dir niente.

Zelinda. No, non mi basta. Ricordatevi che quando m’avete confidato la lettera di don Flaminio, avete da me preteso un giuramento in parola d’onore. Se volete ch’io parli, assicuratemi colla stessa solennità.

Fabrizio. Avete ragione. Vi giuro e vi prometto in parola d’onore di non dir niente a nessuno.