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228 | ATTO PRIMO |
Avvocato. Sappiate dunque, che il testamento corre pericolo d’esser tagliato.
Zelinda. E che vuol dire tagliato?
Avvocato. Vuol dire d’esser dichiarato nullo, di niun valore. (Lindoro ascolta, e mostra di non voler ascoltare)
Zelinda. Ma venite qui. Sentite cosa egli dice. Cosa serve che stiate lì? Di chi vi volete prendere soggezione? (a Lindoro)
Lindoro. (È furba, capisce tutto). (da sè) No, no, ho qualche cosa da fare; non posso più trattenermi. Sentite voi, e poi mi riferirete. (in atto di partire)
Zelinda. No, vi dico, restate, venite qui. (lo trattiene)
Lindoro. Ma se ho che fare, se non posso restare.
Zelinda. E qual premura avete d’andarvene?
Lindoro. Voglio scrivere a mio padre, istruirlo della mia buona fortuna, e dargli ragguaglio di quel che passa.
Zelinda. Lo farete poi, non vi è questa premura.
Lindoro. La posta parte da qui a mezz’ora. Scusatemi: voglio adempire a questo dovere; vado a scrivere, e poi tornerò. (Ci patisco, ma mi avvezzerò). (da sè, parte)
SCENA XIV.
L’Avvocato e Zelinda.
Zelinda. (Non so che dire. Una volta non m’avrebbe certo lasciato a testa a testa con un legale). (da sè)
Avvocato. E bene, questa disputa è ancor finita?
Zelinda. Scusate, signore. Mio marito ha che fare, ed io senza di lui è inutile che v’ascolti. (stando lontana)
Avvocato. Ma, figliuola mia, non v’è tempo da perdere. V’avverto per vostro bene. Se il testamento è nullo, voi correte rischio di perder tutto.
Zelinda. Si corre rischio di perder tutto? (s’accosta con ansietà)
Avvocato. Così è, vi dico: il testamento potrebb’esser tagliato, e in questo caso tutt’i legati se n’andrebbero in fumo.