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226 | ATTO PRIMO |
mento? Un mese fa, voi eravate geloso, estremamente geloso, ed ora non lo siete più?
Lindoro. Ditemi voi, Zelinda, avreste piacere ch’io lo fossi ancora, e seguitassi a tormentarvi come feci per lo passato?
Zelinda. A tormentarmi?... No, non avrei piacere d’essere tormentata. (nascondendo la sua passione)
Lindoro. Avete ragione, sono stato un pazzo, vi ho trattato male, ne son pentito, vi domando nuovamente perdono, e nuovamente vi protesto e v’accerto che non sarò più geloso.
Zelinda. Mai più geloso? (con qualche passione)
Lindoro. Mai più vi dico, mai più. Lo sono stato senza ragione d’esserlo. Ma voi sapete bene, mia cara, che la mia gelosia non derivava che dall’eccesso d’amore.
Zelinda. Voi eravate geloso per eccesso d’amore?
Lindoro. Così è.
Zelinda. Ed ora non siete più geloso?
Lindoro. Vi dico costantemente di no.
Zelinda. (Dunque non m’ama più). (da sè)
Lindoro. (Mi sforzo, e mi sforzerò per non esserlo. Ci patisco, ma non dispero di superarmi). (da sè)
SCENA XIII.
L’Avvocato e detti.
Avvocato. (Oh eccoli qui tutti due). (da sè)
Lindoro. Faccio umilissima riverenza al signor avvocato.
Avvocato. Riverisco il signor Lindoro. Servo, signora Zelinda. (entra nel mezzo)
Zelinda. Serva sua divotissima.
Avvocato. Mi consolo con voi della vostra buona fortuna, ben dovuta al merito d’ambidue.
Lindoro. Vossignoria ha della bontà per noi.
Zelinda. (Per me non gli voglio1 dare gran confidenza. Lo conosco, gli piace troppo scherzare). (da sè)
- ↑ Ed. Zatta: non voglio.