Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/231


LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 225


alcun torto a Fabrizio ch’io stimo e rispetto, ma per un picciolo commerzio, per maneggiare un piccolo capitale di dieci mila scudi, credo che voi ed io abbiamo talento che basti.

Fabrizio. Signora, voi ricusate la mia compagnia...

Zelinda. Non è, vi dico, per farvi un torto, ma se volete che parli chiaro, lo farò. Mi ricordo quanto ho sofferto per causa vostra. Mi ricordo che mio marito è stato geloso ancora di voi, e non vorrei che vivendo insieme...

Lindoro. Ma vi dico, e vi protesto, e vi giuro, che non sarò più geloso.

Zelinda. Mai più geloso?

Lindoro. Mai più.

Zelinda. Non posso crederlo, e non lo credo.

Lindoro. Lo vedrete, e lo toccherete con mano. Sono così persuaso, talmente disingannato, che vi lascierei, come si suol dire, in mezzo un’armata.

Zelinda. (Se dicesse la verità, sarei alla disperazione). (da sè)

Fabrizio. Orsù, abbiamo tempo a pensare, e a risolvere. Disponete di me come più vi piace, io son galantuomo, son vostro amico, e questo vi basti. Faccio conto d’andar subito dal notaro a prender la copia dell’articolo che mi riguarda.

Lindoro. Sì, e con quest’occasione, fatemi il piacere di farvi dar la copia de’ nostri legati.

Fabrizio. Ben volentieri.

Lindoro. Se v’è qualche spesa...

Fabrizio. Oh, per la spesa supplirà il signor don Flaminio. È il notaro di casa. A rivederci. (Zelinda, da una parte, ha ragione. Pare impossibile che un geloso di tal natura si sia cangiato del tutto). (da sè, e parte)

SCENA XII.

Zelinda e Lindoro.

Zelinda. Dite, Lindoro; scusatemi s’io vi faccio una simile interrogazione. Come mai avete potuto cambiar sì presto di tempera-