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220 | ATTO PRIMO |
di vitto, vestito, servitù ed alloggio per tutto il tempo della sua vita, e venti scudi al mese per le spille. (donna Eleonora, Pandolfo, don Filiberto si consolano)
Notaro. Con condizione però (tutti ascoltano attentamente) ch’ella resti vedova, e resti in casa con don Flaminio mio figliuolo; e s’ella volesse rimaritarsi, o non volesse restar in casa come sopra, non possa altro pretendere che la dote suddetta, consistente in dodici mila scudi.
Eleonora. Vuol obbligarmi a restar vedova?
Pandolfo. Sentiamo il fine. (a donna Eleonora) (Si farà una lite terribile). (da sè)
Notaro. Item lascio, nomino e dichiaro, ed istituisco mio erede universale, coll’obbligo de’ sopradetti legati particolari don Flaminio, mio unico figlio, (don Flaminio e l’Avvocato si consolano) Con condizione però (tutti ascoltano) ch’egli non si mariti con persona di grado inferiore al nostro, e sopratutto con una ch’avesse pubblicamente ballato o cantato sopra il teatro; (don Flaminio si rattrista) e maritandosi contro la mia presente disposizione, non possa egli conseguir altro che li beni fideicomissi, e la dote materna, e la quarta parte de’ miei beni liberi, azioni, ragioni, crediti, e sostituisco nel caso suddetto per miei eredi universali Zelinda e Lindoro sunnominati. Ecco tutto l’essenziale del testamento. (Tutti s’alzano, don Flaminio e donna Eleonora agitali e malcontenti.)
Notaro. Signori, se non mi comandano altro, io anderò per i fatti miei.
Flaminio. S’accomodi. Sarò a riverirla, ed a pagar il mio debito.
Notaro. Mandino, quando vogliono, per la copia del testamento. Servitor umilissimo di lor signori. (s’incammina)
Zelinda. Accompagnamelo1 almeno noi. (a Lindoro e Fabrizio)
Lindoro. Sì, usiamogli questa civiltà.
Fabrizio. È giusto. Andiamo. (partono tutti tre col Nolaro)
- ↑ Così il testo.