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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 219

Eleonora. Ancora?

Notaro. Io leggo quello ch’è scritto.

Fabrizio. (Sentiamo, sentiamo). (piano a Zelinda e Lindoro, con allegria)

Notaro. Item lascio ai medesimi un capitale di dieci mila scudi a loro libera disposizione. (Zelinda e Lindoro si consolano)

Eleonora. (Questo è troppo. Scommetto che per me non avrebbe fatto altrettanto). (al Procuratore e a don Filiberto, fremendo)

Flaminio. (Son contentissimo. Mio padre ha loro reso giustizia). (piano all’Avvocato)

Fabrizio. (Mi consolo con voi, ma di cuore), (a Zelinda e Lindoro)

Zelinda. (Povero padrone! darei tutto, purch’ei vivesse). (piangendo)

Lindoro. (Avete ragione; l’amor suo valeva un tesoro). (a Zelinda)

Eleonora. Che avete che piangete, Zelinda? Vi pare poco? (ironicamente)

Zelinda. Signora, la mia riconoscenza.

Notaro. Permettetemi di terminare.

Flaminio. Ha ragione.

Eleonora. Sentiamo.

Notaro. Item lascio a Fabrizio, mio mastro di casa, dieci scudi il mese fino ch’ei vive, e trecento subito per una sola volta. (Fabrizio si consola)

Lindoro. Mi consolo. (a Fabrizio)

Zelinda. Me ne rallegro. (a Fabrizio)

Fabrizio. Son contentissimo. (a Zelinda e Lindoro)

Notaro. Item lascio ed ordino all’infrascritto mio erede di pagar in contanti alla Signora Donna Eleonora, mia carissima consorte, la somma che apparisce dalla mia confessione di dote aver da lei ricevuta, e ciò senza contradizione veruna.

Eleonora. E qual contradizione ci potrebb’essere?

Notaro. Scusatemi, signora....

Eleonora. Finite, finite di leggere. (Vediamo se si è sovvenuto della donazione reciproca. Questa è quella che mi sta sul cuore). (da sè)

Notaro. Item lascio all’infrascritto mio erede di continuar a passare alla suddetta mia signora consorte il solito trattamento