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218 ATTO PRIMO

Notaro. Non è male, signora, che restino all’apertura del testamento. I domestici d’un buon padrone vi possono avere qualche interesse. (ad Eleonora. Tutti tre s’avanzano, ma in piedi)

Eleonora. Non è necessario che siano presenti.

Flaminio. Con sua permissione. (a donna Eleonora) Restate. (alli tre)

Eleonora. (Non viverei con costui per tutto l’oro del mondo). (a Landolfo)

Pandolfo. (Lasciatelo fare. Tanto peggio per lui). (piano a donna Eleonora)

Notaro. Vogliono essere serviti? andiamo. (apre il testamento)

Flaminio. Potete ommettere i preamboli e le formalità. Sono cose che rattristano troppo.

Eleonora. Sì, sì, veniamo alle corte.

Notaro. Come vi piace. Leggerò l’ordinazioni dei legati, e l’instituzion dell’erede. Lascio trecento scudi al Notaro. Queste son cose solite.

Eleonora. Sì, sono formalità che si potean tralasciare.

Pandolfo. (Trecento scudi al notaro? Capperi, il testamento è ricco, l’affare è buono). (da sè)

Notaro. Item lascio a Zelinda, figlia onesta e civile, ed a Lindoro suo marito, ch’hanno servito in casa con fedeltà, e ch’io ho sempre amati come figliuoli, la casa di mia ragione situata nella strada nuova, dirimpetto all’Università. (Zelinda e Lindoro si consolano, e fanno zitto)

Fabrizio. (Non è gran cosa). (da sè)

Eleonora. (Una casa di quella sorte). (fremendo)

Notaro. Item lascio ai medesimi, per tutta la lor vita naturale durante, due botte1 di vino all’anno e dieci sacchi di farina, parimenti per ciascun anno. (Zelinda e Lindoro si consolano, come sopra)

Fabrizio. (Via via, non c’è male). (piano a Zelinda e Lindoro)

Eleonora. (Mi pare si possano contentare). (da sè, ironicamente)

Notaro. Item lascio ai medesimi....

  1. Così il testo.