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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA | 217 |
Flaminio. Niente, niente, signore. Ciascheduno dee accudire a’ propri interessi, e poi non v’era alcuna ragione per muoverci ali impazienza. (verso donna Eleonora)
Eleonora. (Non lascia mai l’occasione di pungere). (piano a don Filiberto e Pandolfo)
Flaminio. (Soffrite, signora mia, soffrite). (piano a donna Eleonora)
Pandolfo. (Eh soffrir fino a certo segno....) (piano a donna Eleonora e a don Filiberto)
Notaro. Eccomi qui ad aprire, a leggere, e pubblicare il testamento del fu signor don Roberto.
Flaminio. Favorisca d’accomodarsi. (tutti siedono. Il Notaro nel mezzo)
SCENA VII.
Zelinda vestita a mezzo lutto, Lindoro e detti.
Fabrizio. (Da una parte in piedi, ed un poco indietro.)
Zelinda. (Venite, venite; non abbiate paura), (a Lindoro, tenendolo per mano e conducendolo avanti) Dimando umilmente perdono, se ci prendiamo la libertà...
Eleonora. E che cosa c’entrate voi! Mi pare che in tali occasioni i domestici non s’abbiano a mischiar coi padroni.
Lindoro. (L’ho detto. Voi volete farmi arrossire). (a Zelinda)
Zelinda. Signore, noi sappiamo il nostro dovere. Eccoci qui in un canto. (si ritira con Lindoro in disparte)
Flaminio. Avanzatevi, la signora donna Eleonora lo permetterà. (a Zelinda e Lindoro)
Eleonora. La signora donna Eleonora non lo permette.
Flaminio. Scusatemi, signora, io vi chiamo col vostro nome; quello di matrigna credo non piaccia a voi, come dispiace a me.
Pandolfo. (Oh liti sicuramente). (da sè)
Notaro. Signore, favorite dirmi chi sono queste persone. (a don Flaminio, accennando Zelinda e Lindoro)
Flaminio. Que’ due sono marito e moglie. Ella è cameriera della signora, ed era egli in figura di segretario. L’altro è il mastro di casa. (li tre, quando sono nominati, fanno la riverenza)