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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 215

Filiberto. Signor, vi chiedo scusa; ma per verità, sono venuto per l’affar della vedova.

Flaminio. Di qual vedova? (con ironia)

Filiberto. Di quella con cui siete in parola di matrimonio, e per la quale ho io l’impegno che voi sapete.

Flaminio. Ah, ah, scusatemi. Credeva che la vedova fosse un’altra. (con ironia)

Eleonora. (L’impertinente). (da sè, fremendo)

Pandolfo. Vi è dell’animosità fra di loro. Vi saranno delle liti sicuramente. (da sè)

Filiberto. E qual è il vostro pensiero circa alla vedova di cui si tratta? (a don Flaminio)

Flaminio. Non vi prendete pena di ciò. Io non ho mai segnato il contratto. Le ho fatto parlare, le ho fatto capire che non ho alcuna inclinazione per lei. Ella mi ha posto in libertà, e quest’affare è finito. (a don Filiberto)

Eleonora. Il signor don Flaminio vorrà sposare la sua cantatrice. (ironica e sdegnosa)

Flaminio. Signora, con sua permissione, sposerò chi mi piacerà e parerà.

Eleonora. Ed io mi mariterò con chi vorrò.

Flaminio. Benissimo. Così anderemo d’accordo.

Pandolfo. Eh, non andranno d’accordo in tutto. (da sè)

SCENA V.

Fabrizio, poi l’Avvocato e detti.

Fabrizio. Signore, è qui l’avvocato. (a don Flaminio)

Flaminio. Che entri. (a Fabrizio)

Fabrizio. Almeno il padrone s’è provveduto d’un galantuomo. Il signor Ciccognini è l’avvocato più onesto e più prudente di questo foro. (da sè) Entri, signore, favorisca. (alla scena)

Avvocato. (Saluta tutti. Donna Eleonora s’alza un poco, lo saluta freddamente, e torna a sedere. Don Filiberto fa lo stesso. Don Flaminio l'accoglie, e gli dice di sedere presso di lui. Prima di sedere