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"Ecco la seconda Commedia: l’ho letta e ne sono contento " (lett. 4 nov.: Mantovani, p. 217). L’autore sperava, dopo l’esito "languido" della prima, che "nella seconda e nella terza la signora Bresciani, facendo da donna maritata" dovesse riuscire egregiamente (così Sciugliaga al Vendramin, in data 17 dic.: Mantovani, p. 229). Ma pur troppo la cosa andò altrimenti, il fiasco dovette essere completo. Non ne abbiamo una vera relazione, non sappiamo nemmeno il giorno preciso della recita, ma a questo insuccesso credo alluda lo Sciugliaga nella lettera 5 gennaio "65 al Vendramin: "....Non avrebbe egli ragione di dolersi il Goldoni di tutto il male detto dalli Comici, per discreditare le Commedie prima di rappresentarle? e di sciegliere male il tempo per esporle?.... Eravi egli il tempo per Commedia ragionata? È ella caduta per essere cattiva, o biasimata? No. Tutti ne dicono bene; ma è caduta perchè la gente era occupata o nella curiosità, o nello spettacolo, o nell’opere" (Mantovani, p. 231). Pur troppo non c’era a Venezia, sulle scene di S. Salvador, un altro Carlino; non c’era la brava, l’unica, "la gran Camilla" come la chiamava il Goldoni.

Eppure questa volta la commedia si avvantaggia grandemente sullo scenario, quale ci è conservato dal Desboulmiers. Non più il mondo delle avventure e delle disgrazie, ma il dramma della gelosia: Arlecchino, Pantalone, tutta la famiglia delle maschere è qui un po’ a disagio, un po’ straniera. Ritorniamo nella vita, nella società del Settecento. Qui la mente del Goldoni, nello stendere il dialogo sulle scene indicate dal canovaccio, come faceva prima del ’43, allorchè da giovane lavorava per la compagnia Imer del teatro di S. Samuele, crea di nuovo, a quando a quando, con quella facilità e con quella inconsapevolezza dell’artista originale e spontaneo che fa ricordare tante volte, a chi ammira le commedie del Veneziano, i vecchi maestri della pittura italiana. La gelosia di Lindoro può prendere il posto fra le belle commedie goldoniane, che ancora sopravvivono, dopo la grande serie dei capolavori.

Nel secolo decimosettimo la gelosia non era meno famosa in Italia che in Spagna: nel Settecento sembra scomparire nella nostra penisola per cedere il luogo alla galanteria più licenziosa. Ma non bisogna credere che la moda francese e i più liberi costumi sociali venuti dal Tamigi potessero soffocare ad un tratto nel cuore dell’uomo l’istinto segreto: sì che il tipo del geloso non geloso, del geloso disinvolto, del geloso di se stesso, del geloso confuso, del geloso disingannato doveva essere più frequente fra noi che altrove, e fu spesso ridicolo soggetto da commedia, in Italia e fuori (v. vol. VI della presente edizione, p. 101 e Toldo, L’oeuvre de Molière, Torino, 1910, pp. 264 e 568). E lo stesso Goldoni lo trattò in una delle famose sedici commedie, intitolata la Dama prudente (1750), che avrebbe potuto anche chiamarsi il Marito geloso, come osserva l’autore nella prefazione (vol. VI cit., p. 15). La gelosia, come era naturale, occupa molta parte nel teatro goldoniano, nè vi troviamo soltanto quella che diremmo comica, come per esempio nelle Donne gelose (vol. VIII), nelle Donne curiose (vol. VIII), nel Geloso avaro (vol. X), nei Morbinosi (vol. XVI) ecc., ma anche la gelosia furente, la gelosia tragica, come nella Donna forte (vol. XVI), come nella Pamela maritata (vol. XVII). Che il dottor veneziano nell’immaginare la seconda parte della trilogia di Zelinda e Lindoro abbia pensato, pur senza volere, alla seconda Pamela, parmi evidente: anche agli amori, diciamo così, di milord Bonfil succedono, dopo il matrimonio,