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172 | ATTO TERZO |
Barbara. (Ancora di più?) (da sè)
Flaminio. Questo è un matrimonio immaginato da mia matrigna.
Zelinda. Ma approvato, voluto, e concluso da vostro padre.
Flaminio. Ci ha da essere l’assenso mio, ed io non mancherò mai di fede a questa giovane onorata e civile... (accennando Barbara)
Barbara. Questa giovane onorata e civile si maraviglia di voi che ardite d’ingannarla e di lusingarla. Questa è la seconda volta che vi burlate di me. Non ci venite la terza...
Flaminio. Ah vi giuro sull’onor mio...
Barbara. Credo all’onor vostro, ma mi cale del mio. Non son capace di tentare la mia fortuna a costo della rovina d’una famiglia. Soffro in pace la povertà, non soffrirei i rimproveri, le male grazie, gli insulti. Ho per voi della stima; dirò anche la verità, ho per voi dell’amore, ma non a segno d’obliare me stessa, e la mia nascita, e il mio dovere. Conoscetemi meglio, e in casa mia favorite di non venire mai più. (parte)
SCENA XV.
Don Flaminio e Zelinda.
Zelinda. (Son contenta. Ho fatto il colpo. Son fortunata), (da sè)
Flaminio. Ah voi mi avete assassinato, m’avete tradito, m’avete precipitato.
Zelinda. Io tradirvi? Io assassinarvi? Voi non mi conoscete, e però parlate così. Sì, sì è veduta la lettera che avete scritta in francese. Una parola ch’io avessi detta, voi eravate precipitato; ed ho sofferto di essere maltrattata per non iscoprirvi, per non esporvi all’ira di vostro padre; e per salvare me stessa non ho altro mezzo che pubblicare la vostra debolezza, l’attacco vostro per la virtuosa.
Flaminio. Ah Zelinda, vi chiedo scusa, compatitemi per carità. Vi ringrazio di tutto quello che avete fatto per me, non vi stancate d’essermi favorevole. Non m’abbandonate, vi supplico, non m’abbandonate.