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LA GELOSIA DI LINDORO 171

SCENA XIV.

Zelinda e detti.

Zelinda. Serva umilissima di lor signori.

Flaminio. Che fate qui?

Barbara. Qual nuova avventura vi conduce da me?

Zelinda. Vi domando perdono...

Barbara. Venite in traccia di don Flaminio? (con caldo)

Zelinda. Sì signora, vengo in traccia di lui, ma per ragione onesta e decente.

Flaminio. E chi v’ha detto ch’io sono qui?

Zelinda. Me l’ha detto Fabrizio.

Flaminio. Ah! m’ha tradito l’indegno.

Zelinda. Non signore, non vi ha offeso, non vi ha tradito; non è capace d’offendervi, di tradirvi. È un servitore onorato, interessato per il bene del suo padrone, come lo sono io; e mi manda qui con quel zelo che conduce me stessa, per arrestare, se siamo a tempo, il fulmine che vi sovrasta.

Barbara. Qual fulmine? Qual novità?

Flaminio. Capisco il zelo, o la macchina, o la scioccheria. Voi venite senza proposito ad inquietarmi.

Zelinda. Eh signore, guai a voi se sa vostro padre che siete qui,1 e se penetra... (a don Flaminio) Scusatemi, signora, s’io parlo con libertà: (a Barbara) e se penetra l’attacco vostro. (a don Flaminio)

Flaminio. E che, finalmente? Non sono io il padrone della mia libertà? Non posso maritarmi a mia fantasia?

Zelinda. Non signore, non lo potete, senza perdere il rispetto a vostro padre, perdere l’amor suo, e forse forse la sua eredità.

Barbara. (Povera me! Il core me lo diceva). (da sè)

Zelinda. E molto meno lo potete presentemente, sapendo l’impegno fatto per voi colla vedova che voi dovrete sposare.

  1. Ed. Zatta: che siete qui. E se penetra ecc.