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166 | ATTO TERZO |
Tognina. Signore, scusatemi, io non andrò a sturbarla presentemente, perchè so ch’ella ha per le mani un affare di gran premura.
Filiberto. (Vorrei pure assicurarmi se Fabrizio mi ha detto la verità). (da sè) Quello ch’io devo dire alla signora Barbara, non è forse meno interessante per lui, e può essere ch’ella ci trovi il suo conto, meglio dell’affare ch’ha per le mani.
Tognina. Oh mi pare difficile che vi sia di meglio per lei. Ma, se è lecito, signore, qual è l’affare che le dovete comunicare? Se veramente preme, anderò ad avvertirla.
Filiberto. Andate immediatamente. Ditele ch’io sono un mercante assai conosciuto in questa città, ch’ho da farle vedere una lettera di un mio corrispondente di Genova, e ch’ho ordine di trattarla per quel teatro.
Tognina. Se non è altro che questo, dispensatemi per ora dall’incomodarla.
Filiberto. Ma ella potrebbe perdere l’occasione...
Tognina. Non serve niente. Credo che la mia padrona non sia più in caso di accettar questa recita?
Filiberto. Perchè? È forse impegnata per qualch’altro teatro?
Tognina. Non signore, ma vi dirò. Sappiate ch’ella fa il mestiere mal volentieri.
Filiberto. Non lo so, ma non importa. E così?
Tognina. È così, è in trattato di maritarsi.
Filiberto. Veramente di maritarsi?
Tognina. Veramente di maritarsi! Che dimanda curiosa! Se si marita, non si ha da maritar veramente?
Filiberto. Vi dirò, vi sono qualche volta de’ matrimoni...
Tognina. Sì, vi ho capito. Ma la mia padrona non è di quelle.
Filiberto. Tanto meglio per lei. E credete voi che il marito le impedirà di cantare?
Tognina. Oh se prende questo, v’assicuro che non avrà più bisogno di montar sulle scene. E poi un uomo della sua condizione!... E anche assai che la sposi dopo di aver cantato.
Filiberto. (Pare che sia tutto vero, ma non posso ancor persua-