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160 | ATTO TERZO |
Lindoro. Me la sapreste insegnar questa casa?
Mingone. Non sono molto pratico della città, ma la troveremo.
Lindoro. Prendete il vostro fagotto, e incamminatevi, che vi terrò dietro.
Mingone. V’aspetterò all’osteria del Biscione. Ho da riscuotere certo denaro, e poi qui non mi hanno dato nemmeno un bicchier di vino; ho bisogno di reficiarmi un poco.
Lindoro. Sì, andate e aspettatemi; vi pagherò io da bevere. Ma non parlate a nessuno.
Mingone. Chi? Io? Puh! Fate conto ch’io sia una muraglia, (parte)
SCENA III.
Lindoro solo.
Posso sentir di più? Può esser la cosa più chiara, più convincente? Dica ora don Roberto, se può, che la lettera non è di suo figlio, e ch’io sono un pazzo, un malizioso, un maligno. Questa volta l’artifizio m’ha servito più della collera. Seguitiamo così, finchè giunga a scoprire il gran punto, ed a far toccar con mano la verità. Mi crederanno in campagna; non avranno alcun sospetto, alcun timore di me. Farò la ronda al luogo dov’è smontato don Flaminio; lascierò delle spie qui d’intorno. Vedrò chi va, chi viene, chi entra da una parte, e chi esce dall’altra. Ma ecco Zelinda. Facciamo de’ sforzi, e continuiamo a dissimulare.
SCENA IV.
Zelinda e detto.
Zelinda. Andate via, Lindoro?
Lindoro. Sì, ve l’avrà detto il signor don Roberto.
Zelinda. Me l’ha detto. Ritornarete1 voi presto? Dialettale.
- ↑ Nelle edizioni posteriori: ritornerete.