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LA GELOSIA DI LINDORO 157

Roberto. Dite, dite, ma fate presto.

Lindoro. Permettetemi che vada anch’io colla sedia...

Roberto. No, no, non vonei che faceste peggio. Il vostro caldo... I vostri sospetti...

Lindoro. Vi giuro sull’onor mio che non parlerò.

Roberto. Ma che premura avete d’andar voi stesso?

Lindoro. Vi dirò... La premura è giustissima. Voi gli scrivete ch’ei venga, ma egli potrebbe aver delle ragioni per non venire. Se vado io in persona per ordine vostro, crederà che la cosa sia molto più premurosa, e non mancherà di venire.

Roberto. Se potessi compromettermi della vostra prudenza...

Lindoro. Non dubitate. Vi do la mia parola d’onore.

Roberto. Quand’è così, andate. Vi mando qui il contadino, partirete con lui.

Lindoro. Sì, signore, e partiremo immediatamente.

Roberto. Andate che il cielo vi benedica... Ma non volete prima veder vostra moglie?

Lindoro. Sì, signore, la vedrò, le dirò addio.

Roberto. Poverina! è serrata nella sua camera. Piange, si dispera, si lamenta di voi, la chiamerò, e la farò venire. Consolatela, poverina! Amatela... Sì, lo spero, vedrete ch’ella Lo merita. (L’amo come s’ella fosse del sangue mio. Quest’è effetto della bontà, del merito e della virtù). (da sè, e parte)

SCENA II.

Lindoro, poi Mingone.

Lindoro. Nessuno mi leverà dalla testa che don Flaminio non sia in Pavia, ch’egli non sia venuto con questa sedia, e che non sia d’accordo con Zelinda e Fabrizio. Ma ecco Mingone, scoprirò io bene da lui...

Mingone. (Io sono in un imbarazzo del diavolo). (da sè)

Lindoro. Galantuomo, dove avete la sedia?