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144 | ATTO SECONDO |
Lindoro. Eh signore, signore... a proposito, mi sovviene una cosa. La lettera è scritta ieri, l’appuntamento d’essere insieme è per il giorno d’oggi, come potete voi... Voi che siete obbligato al servizio, come potevate impegnarvi d’esser oggi al castello segretamente? (a Fabrizio)
Fabrizio. Se la lettera fosse partita, avrei pregato il padrone... Confesso la verità, avrei trovato un pretesto d’affari, d’interessi, con qualche mercante di grano, con qualche fattor di campagna. Il padrone non me l’avrebbe negato.
Roberto. Oh no certamente. Il mastro di casa, poteva facilmente credere che gliel’avrei accordato.
Fabrizio. Nè la colpa sarebbe stata sì grave... Tutto il male ch’io ho fatto si è d’avermi confidato a Zelinda senza la permission di Lindoro.
Lindoro. Anzi, obbligata Zelinda a non dir niente a Lindoro. (con sdegno)
Roberto. Via, non è poi un delitto. (a Lindoro)
Lindoro. E Zelinda preferisce gl’interessi altrui alla quiete ed alla tranquillità del marito.
Zelinda. Vi domando perdono. So che ho fatto male, ma ho creduto far bene.
Fabrizio. E il bene ch’ha1 fatto è grandissimo, poichè in grazia dei suoi buoni consigli, ho abbandonato l’idea ch’aveva sopra la giovane, ed ho conosciuto il torto ch’io faceva a suo padre.
Roberto. Lodo la vostra risoluzione. Ma vorrei veder qualche segno fra voi di vera, perfetta riconciliazione. (a Zelinda e Lindoro)
Zelinda. Se il mio caro marito me lo permette... (in alto di accostarsi a lui)
Lindoro. Scusate, l’amore, la gelosia... (s’avanza verso Zelinda)
- ↑ Ed. Zatta: ch’ho.