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140 ATTO SECONDO

Roberto. Si può sapere che cosa voi cercavate?

Zelinda. Signore... Io cercava una lettera. (pensa un poco, e poi lo dice con franchezza)

Lindoro. Sentite? Una lettera. (a don Roberto con calore)

Roberto. Lasciate parlare a me. Questa lettera a chi era scritta? ed a chi andava diretta? (a Zelinda placidamente)

Zelinda. Signore, capisco benissimo che quella lettera è stata da qualchedun ritrovata, e può darsi ch’io sia così disgraziata, che qualcheduno abbia l’ardire di credere ch’ella sia a me diretta. (verso Lindoro con un poco di sdegno) Non posso giustificarmi su quest’articolo che colla semplice negativa. Non ho altre prove in contrario che quelle che ho date della mia onestà, dell’attaccamento di mio marito, e d’una condotta che voi conoscete meglio d’ogn’altro. Tutto questo dovrebbe bastare a difendere l’onor mio, e disingannare chi pensa male di me. Se ciò non basta, chiamo il cielo in testimonio della mia innocenza, giuro per quanto v’è di più sacro che la lettera non m’appartiene, ma dopo questo sono risoluta e costante a non dir chi l’ha scritta, a non isvelare a chi fu diretta. (a don Roberto)

Lindoro. Segno ch’ella è colpevole, e che l’affettata sua ipocrisia... (a don Roberto)

Zelinda. Mi maraviglio di voi che così parlate. Voi mi conoscete ch’è molto tempo, voi m’avete seguitata per tutto, voi conoscete quanto me stessa il mio cuore, il mio animo, i miei pensieri. Sapete ch’io mal v’ho negato piacere alcuno, che mal v’ho nascosto i segreti dell’animo mio, e se ora non parlo, potet’esser sicuro che una forte ragione m’obbliga a non parlare. Ho promesso, ho giurato, ma questo non basta ancora. S’io parlo son certa d’offendere e di pregiudicare, e sono disposta a soffrir tutto prima di recare altrui pregiudizio. Ditemi ora se è ipocrisia, o se è virtù.

Lindoro. Non sarà nè l’uno, ne l’altro. Sarà menzogna.

Zelinda. Ah, questa vostra insistenza è una marca crudele d’ingratitudine, di perfidia, di poco amore.

Lindoro. Sì, chiamatela come volete.