Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/145


LA GELOSIA DI LINDORO 139

Roberto. (Osserva bene la lettera) (Ah sì, pare anche a me... Se fosse mai vero?... Se foss’egli capace d’una simile iniquità!) Questa non è ragione che basti per accusare mio figlio; e voi gli fate un torto ch’egli forse non merita.

Lindoro. Oltre il carattere che si manifesta, esaminate le circostanze. Chi scrive è lontano dalla persona...

Roberto. Che scioccherie! quelli che scrivono son lontani sicuramente.

Lindoro. Sapete quanto il signor don Flaminio ha amato un tempo Zelinda?

Roberto. Lo so, ma dopo ch’è maritata...

Lindoro. Sapete che Fabrizio è stato sempre il suo consigliere?

Roberto. (Pur troppo). (da se)

Lindoro. V’è nota la conferenza fra lui e Zelinda, il segreto, il giuramento, la parola d’onore? in somma questa lettera trovata su quel tavolino...

Roberto. Non so che dire. Non so più in qual mondo mi sia. Aspettate. Chi, chi è di là? Servitori, mandatemi qui Zelinda, mandatemi qui Fabrizio se c’è. (verso la scena)

Lindoro. Siete ancor persuaso?

Roberto. No, non sono ancor persuaso, e si ha da venir in chiaro della verità.

SCENA VIII.

Zelinda e detti.

Zelinda. Signore... che cosa mi comandate? (a don Roberto, un poco confusa)

Lindoro. Favorisca, signora mia... (a Zelinda con sdegno)

Roberto. Tacete, lasciate parlare a me.

Zelinda. (Prevedo quello che vogliono, e ci vuol coraggio). (da sè)

Roberto. E bene, Zelinda... avete voi trovato ciò ch’avevate perduto? (placidamente)

Zelinda. (Eccolo). (da sè) Non signore, non l’ho trovato. (con franchezza)