Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/132

126 ATTO PRIMO

Roberto. Povera sfortunata!

Lindoro. Sono io più sfortunato di lei. lo che ho rinunziato alla casa paterna, che mi sono assoggettato alla dipendenza per una perfida, per un’indegna...

Zelinda. Ah Lindoro, per carità...

Roberto. Non posso più tollerarlo. Venite meco. (a Zelinda, prendendola per la mano)

Lindoro. Servitevi come vi piace. Non mi usarete1 più lungamente simili soverchierie.

Roberto. Temerario! Andiamo. (tira a sè Zelinda)

Zelinda. Ah no, signore... (a forza per non andare)

Roberto. Andiamo, vi dico. (tirandola)

Lindoro. Andate, andate. Ci parleremo.

Zelinda. Un momento di tempo. (a don Roberto, tentando di liberarsi)

Roberto. No, non vi lascio in balia d’un furioso. Andiamo.

Zelinda. (Oh Dio! Vorrei ricuperare la lettera). Permettetemi. Sono con voi. (tenta di liberarsi)

Roberto. Eh non mi fate perdere la pazienza. (la tira con forza, e parte con Zelinda)

SCENA VII.

Lindoro solo.

Ecco qui, in questa casa non son padrone di comandare a mia moglie: a poco a poco ella mi perderà il rispetto e l’amore. Ma che dico io dell’amore? Questo me l’ha perduto del tutto. S’ella m’amasse, non trattarebbe2 meco così. Ha dei segreti con uno ch’è stato il mio più fiero nemico, con uno che doppiamente m’ha offeso, tentando di levarmela per farla sua, e secondando apparentemente l’inclinazione di don Flaminio! Ah sì, nessuno mi leverà dalla testa che don Flaminio non l’ami ancora, ch’egli non seguiti3 ad insidiarla

  1. Forma dialettale. Le edizioni posteriori correggono: userete.
  2. Forma dialettale. Le edizioni posteriori correggono: tratterebbe.
  3. Ed. Zatta: seguita.