Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
560 | ATTO TERZO |
Doralice. Signore....
Anselmo. Acchetatevi, disgraziata. Madama, vi supplico per amor del cielo, trattenetevi1 con lei, non l’abbandonate2 aspettatemi finch’io torno. Vo a rintracciare monsieur la Rose3. Non vi è altri che lui, che possa liberarmi dall’affanno in cui mi ritrovo. Amici, per carità non gli dite niente, se lo vedete. (a Pandolfo e Lisetta) Povero padre! figliuola ingrata! morirei4 di disperazione, (parte)
SCENA VII.
Doralice, madame Fontene, Pandolfo e Lisetta.
Pandolfo. Sentite, signorina? E voi volevate fare lo stesso, (a Lisetta)
Lisetta. (Ho piacere. Filippo non sarà contento).
Fontene. Ma cara signora Doralice, chi mai è questo amante di cui siete invaghita?
Doralice. Oh dio! non so più di così. Mi parve il giovane il più saggio5, il più onesto del mondo.
Pandolfo. Vi dirò io chi è, s’ella non lo vuol dire. E Filippo, il padrone di questa locanda.
Doralice. Come! non è vero niente. Quegli ch’io amo, quegli che mi ha promesso di amarmi, è il signor Roberto degli Albiccini.
Pandolfo. Il signor Roberto? Quel giovane mercadante6?
Doralice. Sì appunto, si è spacciato meco per mercadante7.
Pandolfo. Non può esser vero. Il signor Roberto è innamorato di mia figliuola8.
Lisetta. No, caro signor9 padre, ora siamo alle strette. Bisogna ch’io sveli la verità. Vi è dell’equivoco, vi è dell’imbroglio. Roberto non mi conosce, mi crede moglie di un altro. (Povera me! Filippo sarà innocente, io l’ho maltrattato da colonello).