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552 ATTO TERZO


caricato, ma in sostanza sono gentili, sociabili, e molto bene educate. Le avete voi detto niente del partito di matrimonio che vi ho proposto?

Doralice. Oh dio! cosa dite mai? Mi guarderei moltissimo di fare penetrare una cosa che mi mortifica e mi disonora.

Anselmo. Come? Che cosa dite? Un partito simile vi disonora?

Doralice. Siete ingannato, signore, siete tradito. Ecco il motivo per cui ho desiderato parlarvi da solo a sola. Colui ch’è venuto a parlarvi per me, che vi ha dato ad intendere di volermi in isposa, è di già maritato.

Anselmo. Monsieur la Rose è maritato? Non lo credo, non è possibile, e non lo crederò mai.

Doralice. Tanto è vero quel ch’io dico, che sua moglie medesima è qui venuta, e mi ha rimproverato e insultato.

Anselmo. Oh cieli! avrebbe egli cercato di addormentarmi, temendo ch’io lo astringessi a pagarmi subito quel ch’ei mi deve? Sarebbe l’azione la più scellerata del mondo.

Doralice. Ah signor padre, degli uomini tristi se ne trovano dappertutto.

Anselmo. Eppure non posso ancora determinarmi a prestar fede a ciò che mi dite. Un mercante, un mio corrispondente non è possibile, vi sarà qualche equivoco, qualche inganno. Dite un poco, madama Fontene non è qui venuta in compagnia di monsieur la Rose?

Doralice. Io non conosco monsieur la Rose.

Anselmo. E quegli che vi ha domandata in consorte, quegli che ho trovato qui, quando sono arrivato.

Doralice. Sì signore, egli è venuto insieme con madama Fontene.

Anselmo. Ella dunque lo conoscerà: saprà s’è vero ch’egli sia maritato; andiamo a sentir da lei....

Doralice. Volete ch’ella sia informata di questo novello insulto che riceviamo? Che lo dica a degli altri? Che si pubblichi per Parigi? Ch’io sia novamente la favola della città?

Anselmo. Le parlerò con destrezza, cercherò di ricavare la verità, senza ch’ella rilevi il mistero.