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IL MATRIMONIO PER CONCORSO | 545 |
dell’onor mio, chiamerei mio padre, e vi farei da esso mortificare qual meritate. Bastivi sapere per ora, che al mio genitore sono stata chiesta in isposa, ch’ei mi ha proposto1 un marito che2 non conosco, che la persona che mi onora nelle mie camere non mi ha permesso di rispondergli, d’interrogarlo, di formar parola. Se mio padre è ingannato, se un temerario ha avuto l’ardire3 di burlarsi di lui, s’egli è legato, s’egli v’appartiene4, tanto meglio per me. Informerò immediatamente il mio genitore. Saprà egli vendicare5 l’offesa, sarà giustificata la mia condotta, e si pentirà dell’ardire chiunque ha avuto la temerità d’insultarmi, e di perdermi villanamente il rispetto.
SCENA XVII.
Lisetta, poi Pandolfo.
Lisetta. Si scaldi quanto vuole la signora Aretusi, poco m’importa. Io non esamino se ella sia colpevole od innocente: dico bene, che Filippo è un ingrato, un infedele e un ribaldo6: convien dire ch’ei s’innamori di tutte le donne che vengono alla sua locanda. Briccone! quante promesse, quante belle espressioni d’amore, di fedeltà, di costanza! ed io, semplice, gli ho creduto, ed io ho lasciato ogni buon partito per lui. Perchè mettermi a repentaglio di disgustar affatto mio padre? Perchè insistere di volermi in isposa a dispetto suo? Perchè arrivare perfino a darmi ad intendere di volersi fingere un colonello, per deludere il fanatismo di mio padre7 e carpirmi con artifizio ed inganno? È ben capace di un’impostura; ma grazie al cielo, l’ho conosciuto in tempo, e non mi lascierò più ingannare.
Pandolfo. E bene, signorina garbata, che dite del bell’onore che fate a voi ed a vostro padre?