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506 | ATTO SECONDO |
Fontene. Non è egli?....
Anselmo. Sì signori, io sono il padre di questa giovane. Che difficoltà? Che maraviglie?1 Cosa vogliono da lei? Cosa vogliono da me?
Fontene. (Non capisco niente). (da sè)
Rose. Favorisca in grazia....
Anselmo. Vossignoria non è ella monsieur la Rose?
Rose. Si signore, mi conoscete?
Anselmo. Vi conosco per detto del signor Roberto Albiccini.
Doralice. (Ah, il signor Roberto ha parlato a mio padre). (da sè, con allegrezza)
Rose. Ditemi in grazia, prima di ogni altra cosa, questa giovane non è la figlia del signor Pandolfo?
Anselmo. Come di Pandolfo? Ella è Dorallce mia figlia.
Rose. Oh cieli!
Fontene. Non è questa la giovane ch’è sugli affissi? (ad Anselmo)
Anselmo. Non signora2 mi maraviglio, non son io capace d’una simile3 debolezza.
Doralice. Non sono io sugli affissi? (ad Anselmo, con trasporto di giubilo)
Anselmo. No, figlia mia, non pensar sì male4 di tuo padre.
Doralice. Ah caro padre, vi domando perdono. Mi hanno fatto credere una falsità. Oh cieli! sono rinata, sono fuor di me dalla consolazione. (si getta in braccio ad Anselmo)
Rose. (Mi pareva impossibile). (a madame Fontene)
Fontene. (Penava a crederlo anch’io5)
Rose. Ma voi, signore, chi siete? (ad Anselmo)
Anselmo. Anselmo Aretusi, per obbedirvi6.
Rose. Il mio corrispondente di Barcellona?
Anselmo. Quello appunto son io.
Rose. Vi son debitore. Faremo i conti. Vi soddisfarò. Avete una figliuola7 di un merito singolare. Vi domando scusa, signora mia, se un equivoco mi ha fatto eccedere in qualche cosa....