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532 | ATTO SECONDO |
Anselmo. Credete dunque a dirittura che la mia figliuola non meriti quanto l’altra?
Roberto. Non dico questo, ma il mio cuore è prevenuto, è risoluto, è costante.
Anselmo. Non occorr’altro. Scusatemi se vi sono stato importuno.
Roberto. Vi supplico non formalizzarvi della mia condotta.
Anselmo. Al contrario ammiro la vostra costanza, e vi lodo nel tempo medesimo ch’io vi compiango. (parte)
Roberto. Eh, non merita di esser compianto chi rende giustizia alla virtù, e sarà sempre degna di lode la compassione. (parte)
SCENA VII.
Sala nella locanda, come nell’atto primo.
Filippo solo.
Povero sciocco! ha serrato a chiave la sua figliuola1! non sa Pandolfo che noi abbiamo le chiavi doppie! S’io non fossi onest’uomo2 e Lisetta non fosse una fanciulla dabbene, non la ritroverebbe più nella camera dove l’ha lasciata3. Mi basta avermi potuto valer della chiave per comunicare a Lisetta la mia intenzione. Son contento ch’ella l’abbia approvata, e spero un buon effetto alla mia invenzione. Con questa sorta di pazzi è necessario giocar di testa.
SCENA VIII.
Monsieur la Rose, madame Fontene, ed il suddetto.
Rose. Amico, una parola.
Filippo. Comandi.
Rose. Si può vedere quest’italiana che alloggia qui da voi?4
- ↑ C. s.: la figlia! non sa che ecc.
- ↑ C. s.: Se io non fossi un onest’uomo ecc.
- ↑ Nelle ed.i cit. finisce qui la scena. Il resto è saltato.
- ↑ C. s.: questa Italiana, quella rarità che si è fatta scrivere sugl’affissi? E segue: «Fil. (Sono tante stoccate al mio cuore). Signore, io non so nulla. Rose. Abbiamo parlalo con suo padre ecc.».