Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1915, XX.djvu/475


IL VENTAGLIO 463

Crespino. Zitto, non lo stiano a chiamare, che giacchè non c’è, dirò io la verità. Piccato, sono entrato nell’osteria per trovar del vino, l’ho trovato a caso, e l’ho portato via.

Evaristo. E che cosa ne avete fatto?

Crespino. Un presente al signor Conte.

Conte. Ed io un presente al signor Barone.

Barone. Voi l’avete riavuto? (al Conte, con sdegno)

Conte. Sì, e l’ho rimesso nelle mani del signor Evaristo.

Evaristo. Ed io lo presento alle mani della signora Candida.

Candida. (Fa una riverenza, prende il ventaglio, e ridendo si consola.)

Barone. Che scena è questa? Che impiccio è questo? Sono io messo in ridicolo per cagione vostra? (al Conte)

Conte. Giuro al cielo, giuro al cielo, signor Evaristo!

Evaristo. Via via, signor Conte, si quieti. Siamo amici, mi dia una presa di tabacco.

Conte. Io son così, quando mi prendono colle buone, non posso scaldarmi il sangue.

Barone. Se non ve lo scaldate voi, me lo scalderò io.

Geltruda. Signor Barone...

Barone. E voi, signora, vi prendete spasso di me? (a Geltruda)

Geltruda. Scusatemi, voi mi conoscete poco, signore. Non ho mancato a tutti i numeri del mio dovere. Ho ascoltate le vostre proposizioni, mia nipote le aveva ascoltate ed accettate, ed io con piacere vi acconsentiva.

Conte. Sentite? Perchè le avevo parlato io. (al Barone)

Barone. E voi, signora, perchè lusingarmi? Perchè ingannarmi?

Candida. Vi domando scusa, signore. Ero agitata da due passioni contrarie. La vendetta mi voleva far vostra, e l’amore mi ridona ad Evaristo.

Conte. Oh, qui non c’entro.

Evaristo. E se foste stato amante meno sollecito, ed amico mio più sincero, non vi sareste trovato in caso tale.

Barone. Sì, è vero, confesso la mia passione, condanno la mia debolezza. Ma detesto l’amicizia e la condotta del signor Conte. (saluta e via)