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IL VENTAGLIO 457


Conte. Assolutamente?

Evaristo. Assolutamente.

Conte. (Il Barone finalmente è galantuomo, è mio amico). Aspettate qui. (Se fossero i cinquanta zecchini non li accetterei, ma una tabacchiera d’oro? Si signore, è un presente da titolato). (fa alla spezieria)

Evaristo. Sì, per giustificarmi presso dell’idol mio, farei sagrifizio del mio sangue medesimo, se abbisognasse.

SCENA XI.

Crespino dalla bottega della merciaia, e detti; poi Giannina.

Crespino. (Oh eccolo qui). Signore, la riverisco. La signora Geltruda vorrebbe parlar con vossignoria. È qui in casa dalla merciaia, e la prega di darsi l’incomodo di andar colà che l’aspetta.

Evaristo. Dite alla signora Geltruda che sarò a ricevere i suoi comandi, che la supplico d’aspettar un momento, tanto ch’io vedo se viene una persona che mi preme vedere, e verrò subito ad obbedirla.

Crespino. Sarà servito. Come sta? Sta meglio?

Evaristo. Grazie al cielo, sto meglio assai.

Crespino. Me ne consolo infinitamente. E Giannina sta bene?

Evaristo. Io credo di sì.

Crespino. È una buona ragazza Giannina.

Evaristo. Sì, è vero; e so che vi ama teneramente.

Crespino. L’amo anch’io, ma...

Evaristo. Ma che?

Crespino. Mi hanno detto certe cose...

Evaristo. Vi hanno detto qualche cosa di me?

Crespino. Per dir la verità, signor sì.

Evaristo. Amico, io sono un galantuomo, e la vostra Giannina è onesta.

Crespino. (Oh sì, lo credo anch’io. Non mancano mai delle male lingue).

Conte. (Sulla porta della spezieria, che torna.)