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450 | ATTO TERZO |
nemico, e lo sarà sempre, fino che non arrivo a sposar Giannina. Potrei metterlo quel ventaglio in terra, in qualche loco, ma se gli camminano sopra, se lo fracassano? Qualche cosa farò, io non voglio che mi mettano in qualche imbarazzo. Ho sentito a dire che in certe occasioni i stracci vanno all’aria. Ed io i pochi che ho, me li vo conservare, (va al banco suo, e prende il ventaglio.)
Limoncino. Ed il...
Conte. (Dall’osteria) Vien qui, aspetta. (prende un pezzetto di zucchero e se lo mette in bocca) Per il raffreddore.
Limoncino. Per la gola.
Conte. Che?
Limoncino. Dico che fa bene alla gola. (parte e va in bottega)
Conte.1 (Passeggia contento, mostrando aver ben mangiato.)
Crespino. (Quasi, quasi... Sì, questo è il meglio di tutto). (s’avanza col ventaglio)
Conte. Oh buon giorno. Crespino.
Crespino. Servitor di V. S. illustrissima.
Conte. Sono accomodate le scarpe? (piano)
Crespino. Domani sarà servita. (fa vdere il ventaglio)
Conte. Che cosa avete di bello in quella carta?
Crespino. È una cosa che ho trovato per terra, vicino all’osteria della Posta.
Conte. Lasciate vedere.
Crespino. Si servi. (glielo dà)
Conte. Oh un ventaglio! Qualcheduno passando l’averà perduto. Cosa volete fare di questo ventaglio?
Crespino. Io veramente non saprei cosa farne.
Conte. Lo volete vendere?
Crespino. Oh venderlo! Io non saprei cosa domandarne. Lo crede di prezzo questo ventaglio?
Conte. Non so, non me n’intendo. Vi sono delle figure... ma un ventaglio trovato in campagna non può valere gran cosa.
Crespino. Io avrei piacere che valesse assai.
Conte. Per venderlo bene.
- ↑ Comincia qui un’altra scena.