Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1915, XX.djvu/459


IL VENTAGLIO 447

SCENA VII.

Candida sulla terrazza, e detti

Candida. Signor Evaristo. (lo chiama)

Evaristo. (Eccola, eccola: son disperato).

Giannina. Che diavolo! È finito il mondo per questo?

Candida. Signor Evaristo? (torna a chiamarlo)

Evaristo. Ah Candida mia dilettissima, sono l’uomo più afflitto, più mortificato del mondo.

Candida. Eh che sì, che il ventaglio non si può più avere?

Giannina. (L’ha indovinata alla prima).

Evaristo. Quante combinazioni in mio danno! Sì, pur troppo è la verità, il ventaglio è smarrito, e non è possibile di ritrovarlo... (a Candida)

Candida. Oh, so dove sarà.

Evaristo. Dove? dove? Se aveste qualche indizio per ritrovarlo...

Giannina. Chi sa? Può essere che qualcheduno l’abbia trovato. (ad Evaristo)

Evaristo. Sentiamo. (a Giannina)

Candida. Il ventaglio sarà nelle mani di quella a cui lo avete donato, e non vuol renderlo, ed ha ragione.

Giannina. Non è vero niente. (a Candida)

Candida. Tacete.

Evaristo. Vi giuro sull’onor mio...

Candida. Basta così. Il mio partito è preso. Mi meraviglio di voi, che mi mettete a fronte di una villana. (via)

Giannina. Cos’è questa villana? (alla terrazza)

Evaristo. Giuro al cielo, voi siete cagione della mia disperazione, della mia morte. (a Giannina)

Giannina. Ehi, ehi, non fate la bestia.

Evaristo. Ella ha preso il suo partito. Io deggio prendere il mio. Aspetterò il mio rivale, l’attaccherò colla spada, o morirà l’indegno, o sagrificherò la mia vita... Per voi, per voi a questo duro cimento.