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IL VENTAGLIO 439

Susanna. No, non parla per voi, parla per me. (burlandosi)

Crespino. Gran cosa! In questo recinto di quattro case non si può stare un momento in pace.

Giannina. Quando vi sono delle male lingue...

Crespino. Tacete, ch’è vergogna.

Susanna. Insulta, e poi non vuol che si parli.

Giannina. Parlo con ragione e con fondamento.

Susanna. Oh, è meglio ch’io taccia, ch’io non dica niente.

Giannina. Certo ch’è meglio tacere, che dire delle scioccherie.

Crespino. E vuol esser l’ultima.

Giannina. Oh sì, anche in fondo d’un pozzo.

Timoteo. (Dal palazzina, colla sottocoppa e caraffe.)

Giannina. Chi mi vuole mi prenda, e chi non mi vuole mi lasci.

Crespino. Zitto, zitto, non vi fate sentire.

Timoteo. (In questa casa non ci vado più. Che colpa ci ho io se queste acque non vagliono niente? Io non posso dare che di quello che ho. In una campagna pretenderebbero di ritrovare le delizie della città. E poi cosa sono i spiriti, gli elisiri, le quintessenze? Ciarlatanate. Questi sono i cardini della medicina. Acqua, china e mercurio). (da sè, ed entra nella spezieria)

Crespino. Bisogna che ci sia qualcheduno d’ammalato in casa della signora Geltruda. (verso Giannina)

Giannina. Sì, quella cara gioia della signora Candida. (con disprezzo)

Susanna. Povera signora Candida! (forte)

Crespino. Che male ha?

Giannina. Che so io che male abbia? Pazzia.

Susanna. Eh, so io che male ha la signora Candida.

Crespino. Che male ha? (a Susanna)

Susanna. Dovrebbe saperlo anche la signora Giannina. (caricata)

Giannina. Io? Cosa c’entro io?

Susanna. Sì, perchè è ammalata per causa vostra.

Giannina. Per causa mia? (balza in piedi)

Susanna. Già con voi non si può parlare.

Crespino. Vorrei ben sapere come va quest’imbroglio. (si alza)

Giannina. Non siete capace che di dire delle bestialità. (a Susanna)