Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1915, XX.djvu/449


IL VENTAGLIO 437

Conte. Il mio lacchè?

Coronato. Signor no.

Conte. E chi dunque?

Coronato. Quell’uomo che sta con lei, che va a vendere i frutti, l’insalata, gli erbaggi...

Conte. Come! quello...

Coronato. Tutto quel che comanda. L’ho incontrato, gli ho fatto veder il barile, ed egli ha accompagnato il garzone.

Conte. (Diavolo! colui che non vede mai vino, è capace di bevere la metà del barile). (vuol entrare)

Coronato. Favorisca.

Conte. Cosa c’è? (brusco)

Coronato. Ha parlato per me a Giannina?

Conte. Sì, l’ho fatto.

Coronato. Cosa ha detto?

Conte. Va bene, va bene. (imbarazzato)

Coronato. Va bene?

Conte. Parleremo, parleremo poi. (in atto di entrare)

Coronato. Mi dica qualche cosa.

Conte. Andiamo, andiamo, che non voglio far aspettare il Barone. (entra)

Coronato. (Ci ho buona speranza... È un uomo, che quando vi si mette... qualche volta ci riesce). Giannina, (amoroso e brusco)

Giannina. (Fila, e non risponde.)

Coronato. Almeno lasciatevi salutare.

Giannina. Fareste meglio a rendermi il mio ventaglio, (senza guardare, e filando.)

Coronato. Sì...(Uh a proposito, mi ho scordato il ventaglio in cantina!) Sì sì, parleremo poi del ventaglio. (Non vorrei che qualcheduno lo portasse via). (entra)

Crespino. (Ride forte.)

Susanna. Avete il cuor contento, signor Crespino; ridete molto di gusto.

Crespino. Rido perchè ho la mia ragione di ridere.

Giannina. Voi ridete, ed io mi sento rodere dalla rabbia. (a Crespino)